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Bosnia - Memoria dell'orrore
Un libro di Alberto Bobbio

Dimenticare Sarajevo... Storia di uno scontro che ha fatto 12.000 morti, ma che oggi nessuno ricorda più. O quasi. E storie di quotidiana sofferenza.
 

Questo libro racconta storie. Perché ora che sono passati dieci anni dalla fine dell'assedio di Sarajevo, 1.300 giorni, 12.000 morti, ora che si sa quasi tutto dell'inettitudine della comunità internazionale, degli intrecci assai poco virtuosi tra i signori della guerra e il resto del mondo, si comincia persino a fare luce sugli affari, si cercano verità al Tribunale dell'Aja, anche per consegnare alla Storia una memoria giudiziaria dell'orrore. Ma si tendono a dimenticare e a perdere nella memoria le storie della gente, le sofferenze intime, le piccoli azioni eroiche di chi ha resistito, di chi ha detto una parola chiara alla guerra che voleva uccidere la vita. Le analisi geopolitiche si possono leggere altrove. Non so se tutte le persone che ho incontrato nei mesi passati a Sarajevo, durante l'assedio, sono ancora vive. Di alcune ho perso le tracce, ma ho l'opinione che siano migliorate, che abbiano vinto la sfida  della vita.

Sicuramente hanno migliorato tutti noi, che abbiamo vissuto con loro qualche settimana, qualche giorno, anche soltanto qualche ora.
Le bottiglie di vino di Izet
Una volta ebbi un autista che si chiamava Izet. Non so più dove sia finito. Ho lavorato con lui nell'estate del 1993. Aveva un'auto tedesca nera; prima della guerra faceva l'autotrasportatore e veniva spesso in Italia. Parlava un italiano spettacolare, parole in veneto e "furlan" mischiate a serbo-croato. Trovava sempre la benzina a un buon prezzo e qualche volta anche verdura fresca e bottiglie di vino da accompagnare al povero desco dei giornalisti, ospiti di lusso dell'Holiday Inn di Sarajevo.
Dentro la città assediata si viveva una vita più intensa, anche dal punto di vista dei sentimenti. Si vedeva dalle piccole cose. Per esempio, non ci si poteva lavare le mani da soli, perché occorreva che qualcuno vuotasse adagio l'acqua dalla bottiglia, per non sprecarla, essendo l'acqua un bene prezioso. Una mattina, sorridente come sempre, Izet mi disse:<< Oggi, ti faccio conoscere mio figlio. Ma dopo, prima lavoriamo>>.
Lavorammo in giro per la città, correndo in auto come al solito. Arrivammo dalle parti dell'ospedale Kosevo. Izet prese a destra e salì verso la collina. Abitava in una piccola villa con il giardino davanti, due alberi da frutto, una panchina di legno. << Ecco, mio figlio è sepolto lì >>, disse semplicemente, senza lacrime. Aveva 22 anni. C'era un cumulo di terra e la stele di legno, secondo l'usanza di seppellire dei musulmani.
Il figlio di Izet era stato arruolato nell'esercito della città. Per alcuni giorni aveva dato l'assalto a una collina dalla quale i serbi sparavano sulla parte vecchia della città. Erano morti in tanti, qualcuno era stato fatto prigioniero. Un giorno i serbi se ne andarono da quell'altura. Ma prima uccisero e poi gettarono giù per la scarpata i prigionieri. Il figlio di Izet era uno di quelli. Quando gli restituirono il corpo era una brutta giornata, troppe granate, troppi colpi dei cecchini. Non riuscirono a raggiungere il cimitero. Lo seppellirono in giardino.

I Balcani, un fastidio rimosso
Ora le storie dell'assedio, la guerra in Bosnia, la grande rapina dei condottieri di Belgrado, i luoghi della sofferenza vengono dimenticati. Una guerra scaccia sempre la precedente. All'orrore non si riesce a porre fine: la tragedia del Medio Oriente, le esecuzioni a Baghdad, le fiamme nel Caucaso, i bambini di Beslan trucidati nella scuola numero 1, i conflitti dimenticati dell'Africa. La guerra nei Balcani non appare neppure come una colpa indelebile marchiata sulla pelle dell'Europa e del mondo. La ragione e le analisi geopolitiche tendono a percorrere, dopo, quasi sempre schemi schemi assolutori o, per lo meno, di oblio. Potremmo anche essere contenti: il fastidio balcanico finalmente è stato rimosso.
Ma proprio ora è importante ricordarsi delle storie dell'assedio. Le storie di questo libro sono state raccolte nel corso della guerra tra il 1991 e il 1995 e nel pesante dopoguerra dei Balcani.
Riportani in primo piano le sofferenze e le speranze. Sono quasi tutte scritte con i tempi dei verbi al presente, nel tentativo di riproporre oggi avvenimenti spariti. Perché c'è una memoria che non può essere spazzata via.
E' quella della Storia, che si specchia negli occhi delle donne, degli uomini, dei bambini, che l'hanno subita. Nessuno può permettersi di dimenticare Sarajevo.   

 
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